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Wednesday, December 06, 2006

interessante, attuale, bel lavoro di Alessia Giangreco: è anche riportato il punto di vista della nostra associazione; la guerra con i liguri è finita

Le Bormide di Alessia Giangreco (GE)



È una favola amara, come i veleni respirati per più di 100 anni in una valle schiacciata dall’inquinamento. Al confine fra Liguria e Piemonte, a metà strada fra le bellezze della riviera e l’enogastronomia e la natura protetta delle Langhe si trova una valle che ha funto per anni da fogna industriale. In mezzo corre un fiume malato che dall’alto Appennino savonese scende verso il Po bagnando le province di Cuneo, Asti e Alessandria. Un’industria che ha seriamente compromesso il settore agricolo e pastorizio, che ha inflitto una forte crisi demografica e scoraggiato l’imprenditorialità locale. Un territorio che ha dovuto pian piano rinunciare all’acqua del suo fiume, ai pascoli per gli animali e al vino delle sue vigne.
La Val Bormida è in forte arretramento da ogni punto di vista, sia sotto il profilo socio-economico, sia per quello ambientale. Nei decenni passati ha sofferto di un forte inquinamento idrico, atmosferico e del suolo circostante, di natura chimico industriale che ancora oggi fa sentire i suoi effetti anche sotto l’aspetto sanitario ed epidemiologico. Per capire la gravità della situazione basta elencare ciò che esiste nel raggio di 20 km. Nel comune di Cengio c’è il sito dell’ex Acna in via di bonifica, a Cairo Montenotte due stoccaggi di rifiuti pericolosi, una discarica di rifiuti inerti funzionante in conto proprio (non riceve rifiuti dall’esterno), una piattaforma di recupero rifiuti; la Funiviaria Alto Tirreno e le dimesse Agrimont, Italiana coke, già oggetto di indagine della procura di Savona per un deposito incontrollato di rifiuti, e la ex Camilog da cui si sono riversati l’anno scorso 50 mila litri di olii esausti a causa di atti vandalici.
A Cengio dei camion passano avanti e indietro trasportando il terreno contaminato della discarica di Pian Rocchetta dentro ai lagunaggi svuotati dai sali sodici caricati per anni sui treni verso Teutschenthal, la miniera di salgemma tedesca vicino a Lipsia. Gli ultimi big bags, sacchi da 1500kg ciascuno, dovrebbero essere spediti entro inizio dicembre. Ogni mese partono 4 convogli ferroviari di 16 vagoni l’uno. I rifiuti che non sono finiti in Germania sono seppelliti in modo permanente e sicuro (in gergo tecnico: tombati). C’è un muro di contenimento per proteggere il letto del Bormida da nuove infiltrazioni e gru e ruspe che demoliscono gli ultimi edifici. Più in alto ci sono delle case abitate con tanto di tavolini e altalene con vista sulla fabbrica, molte sono in vendita, altre in ristrutturazione. Vicino al fiume crescono orticelli e piante. Per tutta Cengio i cartelli sono quasi un monito: emergenza salute 118.
L’Acna è stata liquidata dopo 100 anni di inquinamento tra cassa integrazioni, pensionamenti, mobilità e licenziamenti (solo un centinaio di persone sono state parzialmente reimpiegate in opere di bonifica), nel 1999 è stato dichiarato dal Presidente del Consiglio dei Ministri lo stato di emergenza derivante dalla crisi socio-ambientale dell’area e allo stesso tempo è stato nominato un Commissario straordinario di Governo per il controllo e la gestione delle attività di bonifica. L’accordo di programma sancito nel 2000 fra ministro della Sanità, ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, le regioni Liguria e Piemonte, il commissario straordinario, l’Acna in liquidazione ed Enichem spa, prevede che la zona venga riutilizzata per attività eco-compatibili, che vengano reimpiegati i lavoratori dell’Acna e che si svolgano attività di ricerca e di sperimentazione per individuare le migliori tecnologie disponibili per la bonifica e la messa insicurezza. L’accordo definisce la tempistica per il progetto di recupero ambientale del sito e di deindustrializzazione e rilancio della Val Bormida stabilendo le priorità di interventi di messa in sicurezza di emergenza e fissando le linee di intervento fondamentali per ognuna delle aree in cui il sito è stato diviso in funzione della sua destinazione d’uso.
Tutti gli interventi di bonifica sono a cura di Syndial spa (già Enichem) che, da quando nel 1990 è subentrata nella proprietà del sito, ha speso oltre 700 miliardi di Euro, 150 solo per interventi a fronte dell’accordo di programma che ha previsto un contributo pubblico di circa 25 miliardi di Euro, di cui l’azienda non ha ancora beneficiato.
Nel 2002 il Parco Scientifico e Tecnologico della Liguria, Cengio Sviluppo (Società per la reindustrializzazione dell’area in rappresentanza della Regione Liguria) e il Consorzio interuniversitario nazionale la chimica per l’ambiente (Inca) fondano la società consortile Centro per lo sviluppo delle tecnologie ambientali (Cesta), il primo centro di eccellenza in Italia per la ricerca nel settore della bonifica e la messa in sicurezza dei siti industriali dimessi.
Il Centro è stato costituito con il contributo di diversi soggetti: gli impianti sono stati forniti dall’Ufficio del Commissario delegato per 392 mila Euro, la progettazione del laboratorio è stata finanziata dalla Provincia di Savona per circa 487 mila Euro, la strumentazione è stata fornita dall’Inca per circa 206 mila Euro. Nel primo lotto bonificato di circa 4 ettari, Syndial ha concesso in comodato gratuito un edificio a 2 piani che ospitava i laboratori dell’Acna: la ristrutturazione è durata 2 anni ed è costata 250 mila euro. Al piano rialzato dell’edificio il Cesta ha installato gli impianti pilota mentre al primo paino sono stati installati i laboratori chimici e biologici.
L’anima del Cesta è Pietro Canepa, membro della giunta del Consorzio Inca. «Il sistema ambientale si è ripreso bene. A luglio scorso sono stati presentati i dati in un tavolo tecnico e a 30 km di fiume la situazione ambientale è in buono stato, sono pochi i segnali negativi – dichiara Canepa – La bonifica è proceduta velocemente: è l’unico caso in Italia in cui si intravede la fine».
Perché 117 anni di veleno? Il prefetto di Genova Giuseppe Romano, 65 anni, commissario delegato alla bonifica dal 14 gennaio 2005, parla di ricatto occupazionale. In una campagna schiacciata dall’industria, l’unica speranza di portare un salario a casa era lavorare nell’Acna e gli operai si facevano raccomandare pure dal parroco per entrare nella via della morte, com’era chiamata la strada che conduceva dentro ai reparti. Il ricatto è crudele: vuoi un posto di lavoro? Goditi il veleno. L’Acna a Cengio gestiva tutto: cinema, teatro, asilo, dopolavoro, biblioteca, bar, sala giochi, campi sportivi. Offriva condizioni particolarmente vantaggiose ai dipendenti per indurli a non partecipare agli scioperi e intanto si occupava della loro salute: tè o latte per far fare tanta pipì e disintossicare chi lavorava nei reparti. La fabbrica godeva dell’appoggio di sindacati, operai, popolazione. «Dal ’92 in poi il sindacato ha preso consapevolezza a non cedere al ricatto occupazionale – precisa il commissario – Eni è incolpevole, ha acquistato da Montedison un sito inquinato e sapeva di dover solo sanare una ferita. Ma stiamo facendo delle indagini e abbiamo pronta la pratica per l’azione risarcitoria».
Quello che gli ex lavoratori dell’Acna vogliono è un risarcimento alle persone. Come Syndial ha pagato oltre 11 milioni di euro a 101 famiglie della provincia di Siracusa per risarcire le malformazioni neonatali, riscontrate tra il 1991 e il 1993, per i fenomeni di inquinamento delle acque marine da mercurio, causate dagli scarichi industriali, i lavoratori vogliono essere risarciti per aver lavorato, ingerito e respirato miliardi di molecole di benzolo, mercurio, amianto, parafenilenediamina, amine aromatiche e quant’altro ed essersi procurati un papilloma o carcinoma vescicale. «Quando, come me, sei su un lettino a fare la chemio e a maledire quella fabbrica – dichiara Marina Garbarino, 48 anni, di Cortemilia, presidente dell’associazione Val Bormida pulita – te lo chiedi perché devi stare lì, mentre qualcun altro si intasca i soldi».
Dalle indagini geologiche, idrogeologiche, e chimiche delle acque superficiali e sotterranee, dei sedimenti e del suolo, è stata evidenziata la presenza di sostanze altamente cancerogene, come diossina e fenoli, arsenico, mercurio, cromo 3 e 6. Sono stati stimati 2.500 mila mq fra rifiuti e materiale contaminato su un’area totale di 550 mila mq.
«La bonifica sarà terminata nel 2007, ci vorrà un semestre del 2008 per completare l’assetto –dichiara il prefetto Romano – Lo stato di crisi ambientale durerà fino a dicembre 2006, ma è necessaria la proroga di un anno».
«Due regioni, Piemonte, Liguria chiedono di non procedere con lo stato di emergenza, perché in quell’area non sussiste più – è il durissimo dissenso nei confronti del prefetto di Stefano Leoni, ex commissario straordinario per i lavori di bonifica dell’Acna – Se viene prorogato è solo per mantenere degli stipendi, basti pensare che da quando il prefetto è entrato in servizio la prima cosa che ha fatto è stato raddoppiarsi lo stipendio rispetto al mio! I costi per la bonifica sono duplicati dal 2004».
«Non sono soddisfatta dei lavori fatti – si trova d’accordo Marina Garbarino – fino al 2004 il commissario relazionava sui fondi spesi ora si sono interrotte le forme di dialogo con le parti sociali. Sono state richieste analisi del fiume sopra valle, prima dell’ex Acna e sotto valle, dopo la fabbrica: valori omogenei avrebbero indicato la bontà dell’acqua del fiume. Magari le analisi sono state fatte, ma nessun mortale potrà mai saperlo».
La nomina del prefetto Romano è stata voluta dal governo Berlusconi ed è stata caldamente proposta dal direttore del dipartimento della protezione civile Guido Bertolaso.
Al wwf, di cui Stefano Leoni è vice-presidente, la sua rimozione è parsa incomprensibile e immotivata, se non a livello politico. Stessa opinione hanno avuto l’amministrazione comunale di Cengio e altre istituzioni e associazioni liguri e piemontesi.
C’è stato anche un ricorso al Tar della Liguria, con relativa sospensione della sua rimozione e poi annullamento della nomina. In sede di Consiglio di stato è stata annullata la sentenza di primo grado per difetto di competenza, radicando il giudizio presso il Tar Lazio.
«C’è un ritardo di circa un anno da quando sono andato via io – dichiara Leoni – Non è cambiato nulla rispetto ad allora: lo svincolo della zona su cui stanno lavorando adesso era previsto a settembre dello scorso anno». «Si sperava che fossero più avanti con i lavori – concorda la Garbarino - I muri di contenimento dovrebbero essere finiti, ma del lato monte ancora non se ne parla. Anche a Pian Rocchetta i lavori dovevano essere molto più avanti».
«Non importa il tempo impiegato a bonificare l’Acna – taglia corto Ilvo Barbiero, presidente dell’associazione culturale Val Bormida Viva – quello che conta è la qualità del lavoro visto che l’attività chimica è durata 117 anni, se ci si mette una ventina d’anni a completare questa bonifica mi pare pure normale, tanto poi il sarcofago con i rifiuti starà lì per dei secoli. Piuttosto mi preoccupa la bonifica delle zone A e B a valle dell’acna, a Saliceto in particolare: si continuano solo a fare analisi. Inoltre temiamo non verranno fatti i setti di isolamento a lato monte del sarcofago per non fare entrare acqua dentro i rifiuti e formare così altro percolato. E poi l' Acna non deve prelevare più l'acqua dal fiume. Cosa se ne fa di prenderne se non produce più? Il Bormida non deve entrare più lì dentro». «Non sono interessato alle polemiche – risponde il modo lapidario il commissario - La qualità della vita in Val Bormida ora è buona anche se ci sono alcuni sedimenti caratterizzati che denotano inquinamento di massa a suo tempo. Si è fatto un buon lavoro e si incomincia a intravedere la luce in fondo al tunnel: il fiume da nero è diventato verde . Il prossimo futuro? La fine del divieto di utilizzare il fiume a fine irriguo».
Su questo punto anche l’ex commissario Leoni è d’accordo, ma precisa che il termine bonifica significa anche restituzione a uso di un’area e per questo occorre assicurare che il sistema fiume sia davvero funzionale a quest’attività. «Il fiume non è più inquinato come una volta – dichiara anche la Garbarono - la flora e la fauna hanno rincominciato a ricostituirsi. Per il momento c’è il divieto di balneazione irrigazione e pesca. Nessun comune ha deliberato in modo diverso, da Saliceto ad Acqui Terme». E pensare che un tempo l’unico modo per ripopolare il fiume per farlo apparire in salute era riversare ogni notte i pesci acquistati negli allevamenti che immancabilmente morivano il giorno dopo.
«Val Bormida valle dei veleni? C’è una ripresa, non certo dal punto di vista economico – sostiene l’assessore all’ambiente del comune di Cengio Manuela Benzi, 43 anni, avvocato – Certo, è migliorata molto la qualità della vita, c’è più positività per il futuro. Cengio punta molto su attività culturali, sportive, ambientali con esito positivo e ampia partecipazione». Qual è allora il futuro della valle?
Il futuro della Val Bormida è stato scritto l’anno scorso sul piano territoriale di coordinamento della provincia di Savona. Gli obiettivi del Ptc sono: rilanciare Savona come capoluogo del sub-ambito definendo relazioni tra le prospettive di sviluppo del porto ed esigenze urbane. Si tratta di costruire nell’area dimessa Acna, ceduta da Syndial alla società Cengio Sviluppo, con un accordo firmato il 26 luglio 2006 con la Regione Liguria, la provincia di Savona e il comune di Cengio, e in quella Agrimont, un distripark in stretta connessione con la piattaforma Savona–Vado. Per distripark si intende un’area vicina al porto dove si parcheggiano le merci in arrivo per la successiva distribuzione. I moderni distripark si configurano più come piattaforme logistiche avanzate, aree collocate a monte dei terminal portuali e integrate con un sistema di trasporto intermodale, dove è possibile dare valore aggiunto alle semplici operazioni di carico-scarico dei container. All’interno ci possono essere anche servizi gestionali, informativi e telematici ma anche capannoni dove possono essere svolte attività manifatturiere per trasformare semilavorati in prodotti finiti.
Scopo del piano è implementare per il porto di Savona-Vado l’offerta di aree e infrastrutture logistiche che possano essere localizzate nell’immediato retroterra portuale e nella vicina Val Bormida. Estendere così le relazioni con l’area geografica più interna e integrare la propria funzione con quella del porto di Genova per la creazione di un sistema portuale e della logistica in grado di collaborare per lo sviluppo di traffici con i porti di Barcellona e Marsiglia. Eppure su questo tema sono stati evidenziati, da Agostino Cappelli, Ordinario di ingegneria dei trasporti nell'Università Iuav di Venezia e da Bruno Dalla Chiara, docente del corso di Progettazione di sistemi di trasporto al Politecnico di Torino, i limiti di credibilità delle possibilità di sviluppo commerciale del sistema portuale di Savona, sia per ragioni di strategia generale (difficoltà di inserimento nei flussi internazionali delle merci), sia per ragioni logistiche (insufficienza delle infrastrutture di comunicazione).
Altra parte di punta del Piano è La città delle Bormide, un progetto per dare una nuova immagine alla valle, unendo le periferie e organizzando i centri abitati in una città reticolare. Migliorare la qualità urbana in termini di riqualificazione del sistema degli spazi pubblici e dei servizi, in un parco territoriale-fluviale delle Bormida, con pesca sportiva, agriturismi, piste ciclabili. «Il sistema portuale dovrebbe partire in contemporanea con il terminal di Vado, fra due o tre anni – sostiene Antonio Schizzi, il responsabile del servizio di pianificazione territoriale della Provincia di Savona – mentre il progetto della Città delle Bormide partirà nel 2007 e coinvolge tutti i comuni».
«L’associazione culturale Val Bormida Viva 11 anni fa – racconta Ilvo Barbiero – aveva proposto d’installare sui terreni bonificati una produzione di coloranti a base naturale (prodotti in scarto dalle coltivazioni agricole, bucce d’uva ecc) per entrare in sinergia con l’agricoltura locale e dimostrare che le tecnologie da disastro produttivo e ambientale non devono essere esportate in paesi dove si può ancora inquinare. Avevamo anche proposto un parco a tema culturale, un museo dell’orrore ma nello stesso tempo un festival dell’ecologia con trenini che passano nel sarcofago di rifiuti: avrebbe offerto tanti posti di lavoro rilanciando l’attività turistica della valle con alberghi, ristoranti, prodotti agricoli. La fama tragica assunta sarebbe almeno servita a qualcosa. La val Bormida deve diventare globalmente pulita, ha già pagato tanto, quindi basta industria chimica, basta centrali, basta discariche!».
Ed è a questo motto che molti privati, il Comune di Cairo Montenotte, le associazioni per la difesa della salute e dell’ambiente di Cairo, la Provincia di Savona, Legambiente si stanno scagliando contro la discarica Filippa. La vicenda è partita 4 anni fa, quando la giunta provinciale ha negato l’autorizzazione per la discarica, decisione confermata dal giudice amministrativo in primo grado e poi ribaltata dal Consiglio di Stato per incompetenza della giunta. La Provincia aveva inizialmente negato l’autorizzazione alla realizzazione della discarica per l’eccessiva vicinanza delle case e delle scuole e per il rischio di alluvioni che negli ultimi anni hanno colpito la zona adiacente al sito, provocando numerosi danni. Senza considerare che in una città profondamente incisa da crisi industriale, la realizzazione di una discarica destinata a ricevere rifiuti da 5 regioni del nord Italia avrebbe ostacolato il rilancio economico e occupazionale. La palla è poi passata alla dirigenza che ha autorizzato la costruzione affermando l’idoneità del sito.
La società Laterizi della famiglia Vaccari ha speso 3 milioni di euro ultimando un impianto di rifiuti speciali non pericolosi che non è ancora in funzione. Con l’ultima sentenza dello scorso 25 settembre, il Consiglio di stato ha confermato l’annullamento del progetto per carenza d’istruttoria: non erano state fatte le analisi necessarie (come lo studio dei venti, la vicinanza di aziende agricole biologiche, lo studio di acque sotterranee e di falde acquifere, etc).
In questa valle degli orrori passati e dal futuro incerto, l’inquinamento ambientale si è sposato con il potere delle forze economiche e politiche e la disoccupazione.
La crisi di Ferrania, attività produttiva fiore all’occhiello di Cairo Montenotte, ne è la prova. Un’azienda nata negli anni ’20, di 760 dipendenti, impegnata nella produzione di pellicole fotografiche e per diagnostica medicale che negli ultimi anni ha subito ingenti perdite di fatturato a causa dei moderni metodi digitali in campo radiologico. Chiusa la fabbrica la proprietà è passata al gruppo Fitra (Giovanni Gambardella, Giorgio Messina e Vittorio Malacalza), una cordata di industriali. Con un accordo preliminare fra Fitra e il Ministero delle attività produttive, la Regione Liguria, la Provincia di Savona, il Comune di Cario Montenotte, il Governo si è impegnato a finanziare 100 milioni di Euro al fronte di un adeguato piano industriale, e ha impegnato gli enti locali nella costruzione di strade e ferrovie valutando la possibilità a far costruire a Fitra una centrale elettrica a carbone capace di salvare l’occupazione grazie al business della produzione elettrica. A Savona il carbone è in continuo movimento: fra i porti, nelle funivie Alto Tirreno, e nella cokeria di Cairo. Le associazioni ambientaliste si sono mosse istantaneamente e dei tecnici hanno esaminato i vincoli contro la costruzione.
Lorenza Simonetti in servizio presso il Settore Sviluppo Economico della Provincia di Savona riferisce che, finora, non è stato presentato nessun progetto di centrale elettrica a carbone. La questione Ferrania, invece, è stata dibattuta recentemente in un vertice a Roma tra il ministro allo sviluppo economico Bersani, la Regione con il presidente Carlo Burlando e l'assessore Renzo Gucinelli. Si chiede l'immediata attivazione dei finanziamenti deliberati dal Cipe nella seduta del 22 marzo scorso per il rilancio di Ferrania e della Val Bormida, per un ammontare di 48 milioni e 200 mila Euro. La società è stata invitata a formalizzare il piano industriale che dovrebbe riguardare produzioni innovative come il silicio di grado solorare, i pannelli fotovoltaici.

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