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Monday, June 27, 2005

Una sentenza storica su re-sol: CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV--19 luglio 1993

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV--19 luglio 1993


1) CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV--19 luglio 1993, n. 741--Pres. PALEOLOGO, Est. BACCARINI--Soc. ACNA Chimica Organica (avv.ti Acquarone, Bormioli e Villani) e Regione Liguria (avv. Pericu) c. Regione Piemonte (avv.ti Giannini, Ferrari e Sanfelici), Ministero ambiente (avv. St. Giordano) ed altri, con intervento di Comune di Cortemiglia ed altri (avv. Sanfelici), Comunità montana Alta Val Bormida ed altri (avv.ti De Santis e Ruffino) e Unione industriali provincia di Savona (avv.ti De Santis e Ruffino)
Valutazione di impatto ambientale - Contenuto e momento di effettuazioneValutazione di impatto ambientale - Impatto chimico integrato NozioneRifiuti Smaltimento di rifiuti - NozioneRifiuti - Smaltimento di rifiuti - Materie prime secondarie Rientrano nella nozione di rifiuto Normativa applicabileRifiuti - Smaltimento di rifiuti - Riutilizzazione immediata o riutilizzabilità degli scarichi - Irrilevanza.
A norma della direttiva CEE 27 giugno 1985, n. 85/337 -- cui la normativa interna deve presumersi conforme pena la sua disapplicabilità da parte del giudice e dell'autorità amministrativa --, la valutazione dell'impatto ambientale concerne sia i progetti pubblici sia quelli privati, e deve essere compiuta prima del rilascio di autorizzazioni per gli impianti.La categoria di "impianto chimico integrato" --la cui realizzazione deve essere assoggettata a valutazione di impatto ambientale ai sensi del D.P.C.M. 27 dicembre 1988, n. 377--, caratterizzata da un elemento qualitativo ("l'insieme di due o più unità produttive che realizzano processi di trasformazione o di sintesi, che concorrono a determinare prodotti chimici merceologicamente definiti ") e da un elemento quantitativo (l'incidenza sui parametri produttivi normativamente indicati), avendo riguardo al fatto che anche gli interventi su opere preesistenti possono integrare i presupposti della procedura di VIA qualora ne derivi un'opera rientrante nelle categorie previste ovvero un'opera con caratteristiche sostanzialmente diverse.
According to EEC Directive 85/337, with whom relative national law must be in accordance under penalty of disapplication, E.I.A. concerns both public and private projects, and must be performed before release of the plant authorisation measure.The notion of "integrated chemical installation" - whose development must be subjected to E.I.A. according to D.P.C.M. 27.12.88 n.377, is characterized by a qualitative aspect ("...") and by a quantitative element (..), having regard of the fact that modification of previous plants can make the new one subjected to the relevant notion.
(Omissis).--Nel merito, può procedersi all'esame congiunto dei due appelli principali, attesa la sostanziale identità dei motivi proposti.Le appellanti principali deducono (secondo motivo dell'appello ACNA e primo motivo dell'appello Regione Liguria) che i motivi di ricorso esaminati ed accolti dal T.A.R .--relativi alla mancata sottoposizione del progetto RE.SOL a procedura di valutazione di impatto ambientale: VIA -- dovevano invece essere dichiarati inammissibili per la mancata impugnazione della nota 2 agosto 1989, comunicata alla Regione Piemonte il 16 novembre 1989, con la quale il Ministro dell'ambiente determinava non doversi far luogo a procedura di VIA in ordine al progetto RE.SOL.I motivi suesposti sono infondati in fatto.A prescindere, infatti, dalla questione dell'immediata lesività o meno della nota del 2 agosto 1989, atto strumentale del procedimento, assorbente il fatto che alla data del 16 novembre 1989, in cui la nota ministeriale era stata portata a conoscenza della Regione Piemonte, era già intervenuto l'atto costitutivo del procedimento principale --la deliberazione della Giunta regionale della Liguria del 26 settembre 1989, n. 4614-- che sarebbe poi stato impugnato, anche per la mancata sottoposizione a VIA del progetto RE.SOL, con ricorso notificato il 2 e il 4 gennaio 1990 e quindi entro il termine di sessanta giorni dalla piena conoscenza anche della nota ministeriale in questione.
3. Le appellanti principali deducono altresì -- primo motivo dell'appello ACNA e terzo motivo dell'appello Regione Liguria -- che il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere la necessaria prodromicità della procedura di VIA rispetto all'autorizzazione impugnata, specialmente in relazione alla natura privata dell'opera progettata dall'ACNA.I motivi sono infondati.La normativa interna concernente la procedura di VIA è stata posta in attuazione della direttiva del Consiglio CEE del 27 giugno1985, n. 85/337, cui la prima deve presumersi conforme, pena la disapplicabilità da parte del giudice comune (Corte Cost., sent. n. 170 del 1984), e dell'autorità amministrativa (Corte Cost., sent. n. 389 del 1989).Ora, la predetta direttiva chiarisce testualmente che la valutazione dell'impatto ambientale concerne sia i progetti pubblici che quelli privati (secondo e quarto: "considerando" delle premesse e Art. 1.1) e che essa deve essere compiuta prima del rilascio dell'autorizzazione (quinto "considerando" e Art. 2.1).Del resto, la valutazione d'impatto ambientale è un procedimento a parametro globale, in quanto mira ad accertare gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori (Art. 3):--l'uomo, la fauna e la flora;--il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio;--l'interazione tra i fattori predetti;--i beni materiali ed il patrimonio culturale.Si conclude con un giudizio di compatibilità o incompatibilità ambientale del progetto dell'opera, sicché in considerazione dell'ampiezza del parametro valutativo, si trova in naturale rapporto di continenza rispetto alle autorizzazioni di settore.Non è autonoma, pertanto, dal procedimento principale, ma adesso collegata da un nesso logico di presupposizione.L'ordinamento interno conferma tali conclusioni.Quanto alle opere soggette a VIA, nessun atto normativo ricollega l'applicabilità della disciplina alla natura (pubblica o privata) delle stesse: l'elemento discretivo è dato invece dalle categorie.E Art. 1 del D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377 (regolamentazione delle pronunce di compatibilità ambientale) enuclea, accanto ad opere istituzionalmente pubbliche, altre, di carattere industriale, di regola private, quali raffinerie (lett. a), acciaierie (lett. d), impianti per l'estrazione dell'amianto (lett. e), impianti chimici integrati (lett. f). Definitiva conferma viene, poi, Art. 4, comma 3, del D.P.C.M. 27 dicembre 1988 (norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità), a mente del quale "per le opere pubbliche o a rilevanza pubblica" si illustrano i risultati dell'analisi economica di costi e benefici, dal che ulteriormente si inferisce che anche le opere private sono assoggettate a tale disciplina.Quanto alla necessaria prodromicità della VIA, essa affermata:-- Art. 6, comma 3 della legge n. 349 del 1986 cit. ("I progetti delle opere di cui al precedente comma 2 sono comunicati, prima della loro approvazione, al Ministro dell'ambiente, al Ministro peri beni culturali e ambientali e alla regione territorialmente interessata, ai fini della valutazione dell'impatto sull'ambiente");-- Art. 2 del D.P.C.M. n. 377 del 1988 cit. ("Si intendono per progetti delle opere di cui Art. 1 i progetti di massima delle opere stesse, prima che i medesimi vengano inoltrati per i pareri, le autorizzazioni, i nulla-osta e gli altri atti previsti dalla normativa vigente e, comunque, prima dell'aggiudicazione dei relativi lavori").In tale contesto normativo, l'enunciato: "e, comunque, prima dell'aggiudicazione dei relativi lavori", della norma regolamentare, non sta a significare che per le categorie di opere sottoposte a VIA l'approvazione o l'autorizzazione potrebbero intervenire senza previa pronuncia di compatibilità ambientale, il che sarebbe anche confliggente con il tassativo enunciato della legge (Art. 6, comma 3, legge n. 349 del 1986), ma, al contrario, che, quali che siano le concrete modalità di svolgimento della fattispecie, quella pronuncia deve comunque precedere anche l'aggiudicazione dei lavori.
4.1.Le appellanti principali deducono infine (terzo motivo dell'appello ACNA e secondo motivo dell'appello Regione Liguria) che il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere il RE.SOL assoggettabile a VIA sotto due distinti e concorrenti profili, in quanto: a) impianto chimico integrato (lett. f) Art. 1, comma primo, D.P.C.M. n. 377 del 1988); b) impianto di eliminazione dei rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra (lett. i), Art. 1, comma 1, D.P.C.M. n. 377 del 1988).Anche questi motivi sono infondati.Per una migliore intelligenza della vicenda, è opportuno premettere alcuni cenni su quel che dalle risultanze processuali è dato evincere circa la struttura del RE.SOL.La società ACNA aveva proposto alla Regione Liguria domanda di autorizzazione ex Art. 6 del D.P.R. n. 203 del 1988, e cioè di emissione in atmosfera, in data 30 ottobre 1988.Dalla relazione tecnica allegata alla domanda risulta, in estrema sintesi, quanto segue.Lo stabilimento di Cengio dell'ACNA produce intermedi derivanti da naftalina, benzolo, antrachinone per le industrie chimiche.I flussi da trattare nel RE.SOL sono sottoprodotti acquosi ad alto contenuto salino originati da alcune delle produzioni aziendali e precisamente:a) anche quadri eb) acque carbonatiche, attualmente stoccate in bacini impermeabilizzati (c.d. lagune);c) acque solfitiche, provenienti dalla dissoluzione del solfito, attualmente stoccato come solido in un fabbricato.Le sostanze da produrre sono: --solfato di sodio e di potassio, destinati alle industrie del vetro e della detergenza; --vapore.Le emissioni conseguenti sono:--emissione E1 del camino fumi, composta dai fumi che escono dall'elettrofiltro e dall'aria proveniente dall'essiccamento del solfato prodotto;--emissione E2 del camino silos, composta dall'aria proveniente dal trasporto pneumatico del sale ai silos e da quella proveniente dalla depolverazione delle autocisterne;--emissione E3 dal silos decalite, composta da aria emessa durante la fase di carico del silo e passata attraverso un filtro.Rifiuti speciali da mettere a discarica sono:--gli insolubili provenienti dal refrattario e dai sali di calcio e magnesio contenuti nell'acqua;--slurry da separazione metalli.Le acque madri, passate attraverso un concentratore a 3 stadi, le acque carbonatiche e le acque solfitiche vengono avviate alla camera di combustione dove la parte organica di esse viene combusta, i solfiti ossidati a solfati ed i gas trattati vengono inviati al camino.Successivamente, il solfato sodico-potassico viene avviato alle fasi della separazione dei metalli e della cristallizzazione.
4.2. Questo impianto, così sommariamente descritto, è stato ritenuto dal T.A.R. soggetto a VIA anzitutto in quanto "impianto chimico integrato" (Art. 1, comma 1, lett. 19 D.P.C.M. n. 377 del 1988).La definizione di impianto chimico integrato è contenuta Art. 8, comma 1, D.P.C.M. 27 dicembre 1988, recante disposizioni attuative del D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377: "Per impianti chimici integrati di cui Art. 1, comma 1, lett. f), del D.P.C.M. 10 agosto 1988, n. 377, si intende l'insieme di due o più unità produttive che realizzano processi di trasformazione o di sintesi, che concorrono a determinare prodotti chimici merceologicamente definiti, se possono incidere segnatamente per l'ubicazione, le dimensioni, le quantità degli effluenti, secondo i seguenti parametri singolarmente intesi e ridotti del trenta per cento qualora l'impianto sia localizzato all'interno di una area dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale ai sensi Art. 7 della legge 8luglio 1986, n. 349:a) materie in ingresso pari o superiori a 200.000 t/anno;b) consumi idrici pari o superiori a 200.000 t/anno;c) potenza termica impegnata pari o superiore a 300 MVV termici;d) superfici impegnate, compresi depositi, movimentazioni e altri spazi operativi, pari o superiori a 50.000 mq;e) numero degli addetti pari o superiore a 300".Ai sensi Art. 1, comma 2 del D.P.C.M. n. 377 del 1988, peraltro, la procedura di VIA si applica anche agli interventi su opere già esistenti, non rientranti nelle categorie del comma 1, qualora da tali interventi derivi un'opera che rientra nelle categorie stesse; si applica altresì agli interventi su opere già esistenti rientranti nelle categorie del comma 1 qualora da tali interventi derivi un'opera con caratteristiche sostanzialmente diverse dalla precedente.La categoria "impianto chimico integrato" è caratterizzata, pertanto, da un elemento qualitativo ("l'insieme di due o più unità produttive che realizzano processi di trasformazione o di sintesi, che concorrono a determinare prodotti chimici merceologicamente definiti") e da un elemento quantitativo (l'incidenza sui parametri produttivi normativamente indicati), avendo riguardo al fatto che anche gli interventi su opere preesistenti possono integrare i presupposti della procedura di VIA, qualora ne derivi un'opera rientrante nelle categorie previste ovvero un'opera con caratteristiche sostanzialmente diverse.Le appellanti principali, con i loro scritti difensivi e con l'elaborato tecnico dell'ing. Ferraiolo, in atti, hanno sottoposto a stringente critica sul punto l'appellata sentenza, che per non merita censura.a) Il fatto che il RE.SOL sia un'unica unità produttiva è ininfluente, giacché costituendo essa un intervento su un'opera preesistente (il complesso produttivo dello stabilimento di Cengio) con la quale strettamente raccordata e di cui tratta i sottoprodotti, integra l'estremo dell'"insieme di due o più unità produttive".b) Qualunque sia, poi, la corretta nozione scientifica di impianto chimico integrato, non è dato all'interprete attenersi ad altro paradigma che non sia quello normativo.Dal quale non si evince, come argomentato nell'elaborato tecnico predetto, che le unità produttive debbano utilizzare prodotti finiti come materie prime, né che ciascuna debba autonomamente realizzare prodotti finiti, né che debbano determinare operazioni chimiche, sicché generando il RE.SOL prevalentemente reazioni fisiche, esso non sarebbe ascrivibile alla categoria.A parte l'esattezza in generale del presupposto teorico dell'argomentazione (anche in relazione al fatto che una delle moderne partizioni della scienza chimica è la "chimica fisica"), sta di fatto che per aversi impianto chimico integrato è necessario e sufficiente, come già visto, il fatto di realizzare "processi di trasformazione o di sintesi" senza ulteriore qualificazione, mentre l'attributo di "chimico" è richiesto per i prodotti, che devono essere "prodotti chimici merceologicamente definiti".Nella specie, dalla descrizione che precede dell'impianto non v'ha dubbio che l'insieme delle unità produttive realizzi processi di trasformazione o di sintesi che concorrono a determinare prodotti chimici merceologicamente definiti, secondo anche ben definite specifiche tecniche.c) Nemmeno sotto il concorrente essenziale criterio quantitativo l'appellata sentenza merita censura.Quanto al RE.SOL di per sé la soglia del parametro produttivo delle materie in ingresso, che concorreva all'assoggettabilità a VIA, era di 140.000 t/anno (200.000 - 30% in quanto area dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale: D.M. 13 novembre 1987).Nessuna decurtazione doveva effettuarsi nel computo dei flussi in ingresso in relazione alla fase della concentrazione, giacché questa faceva parte del RE.SOL (cfr. punto 3 della relazione tecnica allegata alla domanda ACNA di autorizzazione) ed incideva sulla quantità dei flussi trattati non prima, ma successivamente al loro ingresso.--La quantità delle acque in ingresso era quindi:--acque madri: 146.400 t/anno;--acque solfitiche: 16.200 t/anno;--acque carbonatiche: 16.400 t/anno;per complessive 179.000 t/anno, eccedenti la prevista soglia di 140.000 t/anno.Nemmeno giova alle appellanti dedurre, avuto riguardo alla rilevanza determinante della riduzione percentuale del 30% della soglia del parametro produttivo in relazione alla localizzazione dell'impianto in area dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale, l'improcedibilità della censura di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse in considerazione della scadenza del termine massimo quinquennale di efficacia di tale declaratoria (Art. 7, secondo comma, legge 8 luglio 1986, n. 349).Questa, infatti, essendo stata adottata, come già visto, il 13novembre 1987, era ancora efficace alla data del 6 febbraio 1991 di emanazione del provvedimento impugnato, unica rilevante per valutarne la legittimità.Né la perdita successiva di efficacia di tale declaratoria fa venir meno l'interesse della originaria ricorrente essendo di tipo oppositivo, l'annullamento dell'atto impugnato è in ogni caso idoneo ad arrecarle un vantaggio, sia perché essendo la dichiarazione di area ad elevato rischio di crisi ambientale rinnovabile discrezionalmente (Art. 7, comma 3, legge n. 349 del 1986 cit.), la ricorrente ha comunque un interesse strumentale a rimettere in discussione il rapporto, interesse che si proietta nella fase di eventuale rinnovazione del provvedimento e delle connesse valutazioni discrezionali.
4.3. Le appellanti principali censurano, poi, l'appellata sentenza per aver ritenuto il RE.SOL "impianto di eliminazione di rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento, trattamento chimico o stoccaggio a terra".a) Sotto un primo profilo si deduce che il RE.SOL non avrebbe una funzione di eliminazione, ma semmai il trattamento.In contrario è da osservare che, come risulta dalla descrizione dell'impianto, accennata sopra, sub 4.1, il RE.SOL svolge in ordine ai sottoprodotti trattati vari processi di trasformazione, di cui due principali: l'estrazione di solfati sodici e potassici e la combustione delle sostanze organiche.Poco importa accertare se il processo economicamente prevalente sia la produzione di solfati, come dedotto dalle appellanti principali, ovvero lo smaltimento dei residui organici dei cicli produttivi preesistenti, come dedotto dall'appellante incidentale.Quel che è certo, è che l'impianto, in via principale, produce solfati e termodistrugge sostanze organiche, tant'è vero che la società ACNA ha dovuto chiedere l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera, per cui è processo.Ma se così è, non può revocarsi in dubbio che il RE.SOL abbia anche una funzione eliminativa e che sotto tale profilo vada sottoposto a VIA.b) Le appellanti principali contestano che il RE.SOL abbia ad oggetto rifiuti, deducendo che mancherebbe l'elemento soggettivo (animus derelinquendi) per aversi la nozione di rifiuto in senso tecnico.É da osservare al riguardo che, ai sensi Art. 2 del DPR10 settembre 1982, n. 915: "Per rifiuto si intende qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all'abbandono".A mente Art.I della stessa Legge, nello smaltimento dei rifiuti rientra, tra l'altro, "il trattamento, inteso come operazione di trasformazione necessaria per il riutilizzo".Art. 2, quarto comma, n. 1, poi, include tra i rifiuti speciali "i residui derivanti da lavorazioni industriali".La separata individuazione delle materie prime secondarie (m.p.s.), peraltro, si deve al D.L. 9 settembre 1988, n. 397, recante disposizioni urgenti in materia di smaltimento di rifiuti industriali, convertito dalla legge 9 novembre 1988, n. 475, il cui Art. 2 dispone: "Sono materie prime secondarie i residui derivanti da processi produttivi e che sono suscettibili, eventualmente previi idonei trattamenti, di essere utilizzati come materie prime in altri processi produttivi della stessa o di altra natura".Art. 4 del D.M. 26 gennaio 1990, recante individuazione delle materie prime secondarie e determinazione delle norme tecniche generali relative alle attività di stoccaggio, trasporto, trattamento e riutilizzo delle materie prime secondarie, invocato dalle appellanti principali, dispone:al comma 2: "Il trattamento effettuato nello stesso stabilimento di produzione o riutilizzo è considerato parte integrante rispettivamente della produzione e del riutilizzo".al comma 4: "Ai residui del trattamento e del riutilizzo delle materie prime secondarie non destinati ad ulteriore utilizzo si applica la normativa vigente in materia di rifiuti".Sennonché in questo complesso quadro normativo, diretto ad enucleare dalla categoria dei rifiuti le materie prime secondarie ed a sottrarre le seconde al regime giuridico dei primi, si sono verificate due evenienze.Da un lato, stato osservato che la legge n. 475/1988 cit. ha natura di legge-quadro, in quanto prevede (Art. 2, comma 3, 4, 5 e 6) una disciplina articolata su diversi livelli:l) individuazione (con decreto ministeriale) delle m.p.s.;2) esercizio governativo delle funzioni di indirizzo, promozione coordinamento;3) determinazione (con decreto ministeriale) delle norme tecniche;4) disciplina di dettaglio con legge regionale.Ora, non soltanto è stata posta (con il D.M. 26 gennaio 1990,cit.) unicamente la disciplina di cui ai punti l) e 3), ma nei confronti del predetto decreto è stato sollevato un conflitto di attribuzione conclusosi con l'annullamento di numerose sue disposizioni (Corte Cost., sent. n. 512 de 1 990).Dall'altro lato, si sono avute importanti acquisizioni giurisprudenziali sulla nozione di rifiuti, anzitutto in relazione alle direttive comunitarie che disciplinano la materia.La Corte di giustizia delle Comunità europee, con sentenze 28 marzo 1990 (in cause riunite n. 206 del 1988 e n. 207 del 1988 ed in causa n. 359 del 1988) ha affermato che la definizione di rifiuto quale risulta Art. 1 delle direttive n. 75/442 e n. 78/319 CEE non è in contrasto con quella risultante Art. 2, comma primo D.P.R. n. 915 del 1982, tenendo conto de fatto che il termine rifiuto, quale previsto dalla normativa comunitaria comprende qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi, in qualsiasi maniera detta operazione sia compiuta e quale che sia l'intenzione che presieda ad un'operazione del genere.Con riferimento all'ordinamento interno, la Corte di Cassazione ha avvertito che "nella generale categoria dei rifiuti rientrano non soltanto le sostanze e gli oggetti che si possono considerare tali sin dall'origine (ad es. immondizie), ma anche quelle sostanze ed oggetti non più idonei a soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati, pur se non ancora privi di valore economico, sicché "abbandonato o destinato all'abbandono" va inteso non nel senso civilistico di res nullius o di res derelicta, disponibile all'apprensione di chiunque, sibbene di sostanza od oggetto ormai inservibile alla sua funzione originaria, dismesso o destinato ad essere dismesso da colui che lo detiene, anche mediante un negozio giuridico" (Cass. pen., Sez. III, 26 febbraio 199t, Lunardi).E così riconosciuta per un verso la valenza programmatica della normativa sulle m.p.s. e prevalsa una nozione "oggettiva" dei rifiuti, il naturale approdo giurisprudenziale si è avuto con Cass., Sez.Un. pen., 27 marzo 1992, Viezzoli, secondo cui:"Le materie prime secondarie, ovvero i residui derivanti da processi produttivi suscettibili di essere riutilizzati, non costituiscono una categoria autonoma, diversa o comunque alternativa rispetto ai rifiuti, giacché si tratta pur sempre di sostanze ed oggetti dismessi o destinati ad essere dismessi dal loro detentore in quanto non più idonei a soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati: pertanto, continua ad applicarsi ad esse la normativa, amministrativa e penale, prevista dal D.P.R. n. 915/1982, almeno fino a quando non si provvederà tutti gli adempimenti prefigurati Art. 2 legge n. 475/1988 che, proprio in funzione dell'attitudine delle materie prime secondarie ad essere riutilizzate, riserva alle stesse un regime giuridico diverso da quello cui sono sottoposti i rifiuti in generale".Applicando i suesposti principi di diritto, da cui il collegio non ha motivo di discostarsi, al caso di specie, ne consegue che:l) la normativa sulle m.p.s. non era applicabile per mancanza di presupposti normativi;2) era quindi astrattamente applicabile la normativa sui rifiuti (cfr. anche Cass. pen., 7 dicembre 1990: "I residui della lavorazione industriale destinati ad incenerimento o combustione --anche se a fini di energia-- rientrano nella nozione di rifiuti speciali");3) i residui dei processi lavorativi dell'ACNA erano destinati --come già visto in precedenza-- non soltanto al riutilizzo (solfati sodici e potassici), ma anche all'incenerimento (sostanze organiche).A ci si aggiunga che il trattamento dei sottoprodotti avveniva non senza soluzione di continuità rispetto al normale processo produttivo, ma, almeno nella fase iniziale e fino ad esaurimento delle giacenze, dopo un lungo e massiccio stoccaggio in bacini impermeabilizzati, che l'ACNA medesima asserisce avere una capacità di 240.000 mc ed essere prossimi alla saturazione (cfr. relazione Ferraiolo, p. 32):ha avvertito al riguardo Cass. pen., Sez.III, 22 maggio 1991, P.M. c. Sperandio: "Se non basta, per escludere il concetto di rifiuto, la riutilizzazione di un sottoprodotto di scarto, attuata subito dopo dal produttore, a maggior ragione non vi è l'esclusione in parola allorché la riutilizzazione sia soltanto eventuale e avvenga a notevole distanza di tempo dalla formazione del sottoprodotto, che, intanto, è accumulato in enormi ammassi, che qualitativamente e quantitativamente sono incompatibili con la tutela dell'ambiente".I sottoprodotti ACNA, pertanto, non potevano non essere considerati rifiuti.c) Esclusa la configurabilità di un integrale riutilizzo dei sottoprodotti nel processo produttivo interno, nemmeno giova alle appellanti principali invocare la legge della Regione Liguria 8 gennaio1990, n. 1 per dedurre che l'impianto di cui trattasi esulava dalla nozione di rifiuti.La predetta legge, infatti, si limita a disporre, per quel che qui rileva:--Art. 15, che le attività di depurazione di acque reflue e liquami svolte dal produttore nel luogo di produzione degli stessi --attività cui non è riconducibile il RE.SOL, che non è un depuratore-- non sono soggette alla sua disciplina (comma l) e che le altre attività di smaltimento di acque reflue, liquami e fanghi, non disciplinate dalla legge n. 319/1976, devono invece essere autorizzate in base ad essa;--Art. 17, che le attività di trasporto, stoccaggio provvisorio ed eventuale trattamento di rifiuti speciali non tossici e non nocivi prodotti da terzi non sono soggette ad autorizzazione allorché tali attività vengano effettuate direttamente da chi impiega tali rifiuti nel proprio ciclo produttivo: il che non vuol dire che i rifiuti cessino di essere tali, per es. ai fini dell'assoggettamento a VIA degli impianti di eliminazione degli stessi, di cui qui si controverte.d) Le appellanti incidentali hanno dedotto che, comunque, i rifiuti trattati non erano tossici e nocivi, qualità essenziale per l'assoggettabilità a VIA dell'impianto.Va ricordato che, attualmente, la classificazione dei rifiuti speciali in tossici e nocivi è contenuta nella deliberazione 27 luglio1984 del Comitato interministeriale di cui Art. 5 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915.Il paragrafo 1.2 della predetta deliberazione dispone che sono rifiuti tossici e nocivi i rifiuti speciali:l) che contengono una o più delle sostanze indicate nella tabella 1.1. in concentrazioni superiori ai valori di concentrazione limite (CL) indicati nella tabella stessa e/o una o più delle altre sostanze appartenenti ai 28 gruppi di cui all'allegato al D.P.R. n. 915/1982in concentrazioni superiori ai valori di CL ricavati dall'applicazione dei criteri generali desunti dalla tabella 1.2.;2) che figurano nell'elenco 1.3. provenienti da attività di produzione o servizi, salvo che il soggetto obbligato dimostri che i rifiuti non sono classificabili tossici e nocivi ai sensi del precedente punto 1).Il comma successivo precisa che "ai fini della classificazione le concentrazioni effettive di cui sopra debbono essere determinate sul rifiuto dal quale così come si forma, ed è vietata qualsiasi forma di diluizione, anche se ottenuta per miscelazione con altri rifiuti".Ora, l'unica analisi effettuata nella presente vicenda, su impulso della Regione Liguria, da una struttura pubblica (la VII USL ligure del Savonese) su campione prelevato il 6 dicembre 1989 evidenzia per l'appunto la presenza di sostanze appartenenti alla predetta tabella1.3. (quali anilina, nitrobenzene ecc.), presenza che fa insorgere in capo al soggetto obbligato l'onere di dimostrare che i rifiuti non sono tossici perché dette sostanze hanno una concentrazione inferiore ai valori di CL.La società ACNA aveva indicato, nella relazione tecnica allegata alla domanda di autorizzazione del 31 ottobre 1988, una tipologia dei flussi da trattare, dichiarata relativa ad una analisi media, in cui le sostanze della tabella 1.3., ed in particolare quelle che sarebbero risultate presenti nell'analisi della USL, risultavano assenti.In sede processuale la società ACNA medesima produce ora dei certificati di analisi di una struttura privata --la Ecotrol Laboratori-- su prelievi del 5 settembre 1988, e pertanto pressoché coevi alla predetta domanda, in cui le sostanze della tabella 1.3. risultano presenti, sia pure in concentrazioni largamente inferiori a quelle limite.A ciò si aggiunga che dai certificati predetti risulta che i campioni erano stati prelevati dal cliente, dovendosi così escludere in ordine ai prelievi sia una qualche generica terzietà del soggetto autore delle analisi, sia la prova di una corretta effettuazione degli stessi a norma di legge, e cioè in assenza di qualsiasi forma di diluizione, anche se ottenuta per miscelazione con altri rifiuti.Le ulteriori analisi all'Istituto Donegani prodotte dall'ACNA si riferiscono a campioni prelevati nel febbraio 1992, in epoca assai successiva ai fatti di causa e sono pertanto ininfluenti.In tale situazione probatoria, l'intrinseca lacunosità e contraddittorietà dei mezzi di prova offerti dalla società ACNA induce a ritenere che la medesima non abbia adempiuto all'onere di provare, in presenza di sostanze cui l'ordinamento attribuisce particolare pericolosità che i rifiuti trattati non fossero tossici e nocivi.L'impianto RE.SOL, pertanto, doveva essere assoggettato a VIA anche in quanto impianto di eliminazione di rifiuti tossici e nocivi mediante incenerimento.
5. Per le suesposte considerazioni, gli appelli principali non sono fondati.Restano conseguentemente assorbiti l'appello incidentale della Regione Piemonte, con cui erano riproposti i motivi di primo grado non esaminati dal TAR, e la confutazione degli stessi proposta come ultimo dei motivi degli appelli principali.Restano altresì assorbite le domande incidentali di sospensione dell'esecuzione della sentenza appellata.Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

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